11 giugno 2020

La nostra vita si è improvvisamente fermata all’inizio dello scorso mese di marzo a causa di uno “stop” imposto da qualcosa di invisibile che ci ha costretto a rimanere ciascuno nella propria abitazione.
Da quei giorni “Coronavirus” è diventata la parola, probabilmente, più popolare ed utilizzata nella storia dell’informazione contemporanea, capace di occupare, come avviene nelle “dittature”  i palinsesti di tutti i media.
Televisioni, radio, social e  giornali parlavano e parlano ventiquattr’ore al giorno solo di questa microscopica particella che mina la sicurezza di chiunque in modo assolutamente democratico senza fare distinzioni religiose, politiche, ideologiche o di ceto sociale.
Uscire dalla propria casa oltre che, in un primo tempo vietato, veniva considerato, anche successivamente alle prime “aperture”, quasi un azzardo; tanto basta per comprendere l’enormità di quello che stava succedendo/ è successo.
Le strade erano deserte, l’atmosfera e l’aria più pulite; nessun rumore;  nessun aereo; pochi automezzi quasi tutti legati alla consegna di prodotti alimentari; purtroppo, però, tante, tantissime sirene di ambulanze.
Quando si camminava per strada si era (e per la verità ancora al momento in cui scrivo questo “pezzo”) si è portati a cambiare lato del marciapiede quando si incontra qualcuno, magari tenendo la testa bassa per la vergogna o per la paura… Eh si …perché una delle eredità peggiori di questa epidemia risiede propria nella paura / diffidenza che si è radicata nei confronti del prossimo.
Mi sono mancate tante cose in questo strano inimmaginabile/impensabile periodo; mi è mancato non poter vedere e incontrare le persone care, gli amici, le sere conviviali al ristorante; perché no, sarà banale o superficiale, gli aperitivi e la socialità che ivi si instaura; ma mi è mancata anche, e tanto, la libertà di muovermi; e tanto , tantissimo… lo SPORT!!!!
E, si badi bene, non parlo solo dello sport professionistico e degli eventi di massimo livello: anche se mi riferisco a situazioni definibili senza problemi come “storiche”: pensiamo al differimento del Giro d’Italia, a tornei di tennis quali il Roland Garros ma anche e soprattutto addirittura alle Olimpiadi, che nell’antica Grecia nemmeno le guerre avevano il potere di fermare.
Ogni tentativo di resistenza al nemico invisibile è stato sgretolato dal potere impressionante di quest’ultimo che ha fatto cadere l’ordine prestabilito dei calendari delle manifestazioni sportive, portando con sé, come vedremo, conseguenze anche di ordine contrattuale, economico e commerciale di cui è intriso lo sport professionistico.
Io sono un giurista, un avvocato appassionato di sport; cercherò quindi di evidenziare in due prossimi articoli i problemi che lo stop imposto dalle autorità ha creato dal punto di vista giuridico; in un primo articolo riferirò in ordine alle conseguenze nei confronti dei singoli appassionati o delle associazioni sportive dilettantistiche a causa dei divieti che hanno inciso anche profondamente, come poche altre volte era avvenuto nella storia repubblicana, su diritti e libertà costituzionalmente garantiti.
Poi mi occuperò nel secondo articolo, naturalmente, anche dello sport professionistico con particolare riferimento alle conseguenze in ordine ai contratti tra società sportiva e propri tesserati e/o sponsor;  infine dedicherò qualche riflessione in relazione alle conseguenze ed alle responsabilità contrattuali delle società sportive nei confronti dei propri tifosi abbonati o di chi avesse comprato biglietti per eventi sportivi poi cancellati.
In questo articolo introduttivo, però, vorrei limitarmi ad una riflessione conclusiva di carattere generale sorvolando per un momento sulle problematiche contrattuali o economiche dello sport professionistico.
Vorrei fare riferimento allo sport quello più puro, fatto di milioni di appassionati come me o di ragazzini che sognano di diventare campioni correndo con gli amici dietro una palla.
Perché lo sport, innanzitutto, è di chi lo pratica anche da semplice appassionato.
Lo sport è di chi se ne innamora sin da quando è bambino e continua a viverlo con intensità e passione fino a quando le forze glielo consentono.
Non dimentichiamo mai infatti come lo sport, prima ancora che un affare economico / business sia come ha affermato recentemente uno scrittore “… un sentimento che chi gestisce le federazioni e/o le associazioni dal punto di vista pratico e manageriale dovrebbe onorare per questo motivo prima ancora che per il valore economico che assume quando diventa una professione. Lo sport è rispetto di se stessi, del proprio corpo e dell’avversario. …Lo sport è rispetto dei tempi: quello dell’allenamento e del riposo, della competizione e della contemplazione, della presenza e dell’assenza necessaria per farlo….”
Parafrasando un noto detto si dice che gli inglesi abbiano inventato lo sport ma i sudamericani abbiano inventato L’AMORE PER LO SPORT.
Mi viene in mente, al riguardo e a conferma di quanto sopra riportato, una risposta riferita da qualche commentatore in questi giorni; una risposta  che lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, grande appassionato di calcio, diede alla domanda postagli da un giornalista: “…come spiegherebbe a un bambino cos’è la felicità?...”
“..Non glielo spiegherei…”, rispose tranquillo e serafico lo scrittore, “.. gli darei un pallone per farlo giocare….”.
Vi lascio dunque con questa “perla” di saggezza, illuminante di quello che lo sport rappresenta per ogni appassionato e Vi do appuntamento ai prossimi due articoli che verteranno sulle problematiche giuridiche e di diritto sopra evidenziate e cercheranno di fornire riflessioni e  spunti di approfondimento dei quali si è parlato troppo poco in questi giorni; secondo me, inspiegabilmente, a fronte del fiume di parole spese in questo periodo.
 
Avv. Corrado Demolli 
 
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