22 aprile 2020

Oggigiorno l’istituto del matrimonio civile tende ad essere sempre meno utilizzato, a differenza dell’istituto della convivenza more uxorio, che nell’ultimo decennio ha avuto una crescita esponenziale grazie alla sua flessibilità, in risposta all’esigenza di non vincolare dal punto di vista giuridico (con i risvolti economici che ne derivano) le coppie caratterizzate da legami affettivi.
A fronte di tale diffusione si è imposta l’esigenza di riconoscere alcune garanzie nei confronti dei soggetti coinvolti affettivamente, con particolare riguardo ai diritti di natura non prettamente economica, quali a titolo esemplificativo e non esaustivo il diritto di visita negli ospedali, i diritti successori e i diritti di abitazione della casa familiare.
Le due esigenze contrapposte hanno tuttavia condotto ad un’anacronistica tendenza legislativa, volta a disciplinare un istituto nato proprio per evitare qualsivoglia normazione del legame affettivo nella coppia.
 
In particolare, il legislatore è intervenuto con la L. 76/2016, “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, c.d. legge Cirinnà, che dedica gli ultimi commi (dal 36 al 68) alla disciplina delle convivenze.
 
Ci si chiede, pertanto, se la convivenza more uxorio debba ancora considerarsi di fatto ovvero se sia diventata di diritto, trovando espressione in una legge dello Stato.
 
In seguito alla legge Cirinnà sono stati creati due tipi di convivenza more uxorio: la prima che lascia ai soggetti coinvolti la possibilità di non disciplinare la propria unione (c.d. convivenza more uxorio di fatto) e la seconda che consente di prevedere una disciplina diversa e limitata rispetto al matrimonio (c.d. convivenza more uxorio di diritto).
Tutta la disciplina è rimessa all’autonomia contrattuale delle parti, con facoltà di derogare a tutto quanto dettato dalla legge di riferimento.
Un elemento necessario ai fini della costituzione di una convivenza more uxorio, sia essa di fatto ovvero di diritto, è l’affectio.
Ciò comporta che la compresenza nello stato di famiglia non costituisca fattore determinante con riguardo alla convivenza more uxorio di fatto, valendo al più quale mero indizio.
Ed invero, lo stato di famiglia è il certificato che indica i componenti della famiglia anagrafica, ossia i componenti che convivono con il richiedente, e che viene rilasciato dal Comune di residenza su richiesta dell’interessato per i seguenti motivi: per l’ottenimento di assegni fiscali da parte del datore di lavoro; per la compilazione dell’Isee; per chiedere un mutuo in banca; per ottenere benefici economico-fiscali dallo Stato (come tra gli altri il gratuito patrocinio).
Come aspetto di fondamentale rilevanza pratica si segnala l’esatta individuazione del momento in cui si costituisce la convivenza di diritto.
A tal proposito, il comma 37 della legge sopra citata richiama, ai fini dell’accertamento della stabile convivenza, l’art. 4 e l’art. 13 co. 1 lett. b) D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, recante il “Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”, con la conseguenza che i conviventi devono presentare una dichiarazione anagrafica, allegando i rispettivi documenti di identità.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, trattasi di dichiarazione avente natura dichiarativa, che, come tale, può essere presentata anche unilateralmente, e che non vale ai fini della costituzione della convivenza stessa, bensì quale attestazione del fatto che i conviventi hanno deciso di sottoporre la propria relazione alla disciplina della convivenza di diritto.
E si precisa altresì come la stessa abbia comunque valore probatorio con riguardo ai rapporti del convivente con i terzi, come autorevolmente sostenuto in dottrina (Russo): «in tutte le ipotesi nelle quali la convivenza venga fatta valere nei confronti dei terzi, accampando la legittimazione derivante dalla convivenza, occorra un documento legittimante, costituito appunto dalla dichiarazione anagrafica. […] Differente discorso va condotto nei rapporti interni fra conviventi, nei quali ciò che rileva è il fatto concreto della convivenza, accertabile con qualunque mezzo di prova».
 
Quali sono i benefici della convivenza more uxorio di diritto? 
 
La coppia di soggetti maggiorenni, non legati da unioni civili e matrimoni, acquisisce, con la presentazione della dichiarazione anagrafica, i seguenti diritti:
i) gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario;
ii) in caso di malattia o di ricovero, i conviventi hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari;
iii) ciascun convivente può designare per iscritto l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: - in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; - in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;
iv) in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (diritto che cessa in caso di matrimonio o convivenza del convivente superstite con altri);
v) nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto;
vi) il convivente può avvalersi della convivenza dichiarata per ottenere preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare a parità di condizioni delle coppie sposate o che hanno celebrato l’unione civile;
vii) al convivente che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati commisurata al lavoro prestato;
viii) il convivente può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile;
ix) in caso di decesso del convivente, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.
E si ribadisce come i conviventi possano sempre stipulare un contratto di convivenza che preveda diritti ed oneri differenti rispetto a quanto previsto dalla legge Cirinnà.
 
 
Avv. Dora Ballabio
 
 
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