DDC Studio Legale: news

9 giugno 2020 
 
Via libera alla sperimentazione dell’app “Immuni”!
L’autorizzazione è arrivata nella giornata del 1º giugno 2020 dallo stesso Garante della Privacy, che, chiamato a pronunciarsi sulla compatibilità del Sistema di allerta Covid-19 con i principi vigenti in materia di protezione dei dati personali, ha giudicato proporzionato il trattamento dei dati che l’app sarà chiamata ad effettuare, richiedendo, però, al Ministero della salute di adottare ed implementare specifiche ed idonee misure di sicurezza.
Il funzionamento dell’applicazione - la cui sperimentazione ha inizio solo in quattro regioni (Puglia, Abruzzo, Marche e Liguria) - si basa sulla tecnologia del Bluetooth, grazie al quale i telefoni di coloro che scaricano l’applicazione diventano in grado di comunicare con i dispositivi delle persone che si trovano nelle immediate vicinanze e che, pertanto, si trovano ad una distanza che rende possibile un eventuale contagio. 
Il “contatto” viene registrato mediante l’invio e la ricezione di un codice anonimo univoco, senza alcun elemento identificativo, che rimane salvato a livello locale sul telefono per quattordici giorni, onde consentire all’app di verificare se, in tale lasso temporale, si verifichino delle corrispondenze tra i codici registrati dal telefono e quelli delle persone contagiate, pubblicati su di un apposito server.
In tal caso, sarà la stessa app ad inviare una notifica al potenziale contagiato, comunicandogli l’esposizione al rischio e rendendo possibile allo stesso di autoisolarsi o di contattare il proprio medico di base, riducendo così il rischio di complicanze.
Orbene, chiarito, seppur in modo semplificato, il meccanismo di funzionamento di “Immuni”, sorgono spontanei i dubbi circa i limiti e le modalità di trattamento dei dati così raccolti.
Il Garante ha, difatti, specificato come, in primis, risulti assolutamente necessaria un’informativa chiara e comprensibile, il cui contenuto venga redatto tenendo conto del fatto che è previsto l’uso del Sistema anche da parte di minori ultra quattordicenni.
A tal fine, viene auspicato l’utilizzo di icone standardizzate che siano in grado di dare, in modo facilmente visibile, intelligibile e chiaramente leggibile, un quadro d’insieme del trattamento previsto.
Stesse considerazioni valgono per il messaggio di allerta; in tal caso, è altresì necessario che gli utenti vengano edotti sul fatto che le suddette notifiche non sempre riflettono un’effettiva situazione di rischio, potendo il contatto essere avvenuto in condizioni caratterizzate da un adeguato grado di protezione.
Inoltre, poiché ad essere trattati sono dati personali che rientrano nella sfera dei dati sanitari e quindi dati sensibili, essi non potranno essere utilizzati se non per la finalità per la quale sono raccolti e per i tempi strettamente necessari: in caso contrario o nell’ipotesi di trattamento degli stessi da parte di soggetti non autorizzati, si configurerebbe un’ipotesi di trattamento di dati personali illecito, eventualmente anche sotto il profilo penale.
Un’attenzione particolare viene poi riservata dal Garante alle misure volte a garantire l’anonimato dei dati raccolti; in particolare, viene evidenziato come il d.l. 28/2020 stabilisca che il trattamento avvenga con pseudonimizzazione, intendendosi con tale termine il risultato di un trattamento di dati personali che non ne consente l’attribuzione a un interessato specifico, se non con l'utilizzo di informazioni aggiuntive: orbene, il Garante chiede al Ministero di individuare chiaramente quali dati debbano venire pseudonomizzati e quali siano, invece, tutte le altre informazioni aggiuntive che comunque l’applicazione raccoglie, così da garantire una netta separazione tra queste due componenti: in assenza di tale dissociazione sarebbe possibile l’identificazione degli interessati.
Il Garante precisa altresì come sia necessario consentire agli utenti dell’app di disattivarla, anche solo temporaneamente, attraverso una funzione facilmente accessibile nella schermata principale, informando di tale facoltà lo stesso utente, con l’utilizzo, anche in tal caso, delle infografiche visualizzate all’atto dell’installazione dell’applicazione stessa.
Orbene, la specificazione delle predette misure è un chiaro segnale dei molteplici potenziali rischi a cui sono evidentemente esposti i dati personali con l’utilizzo dei Sistemi di allerta Covid-19.
È per tale ragione che, sul punto, è altresì intervenuta l’Unione Europea, la quale ha dettato importanti principi cardine, il cui rispetto deve essere garantito dagli Stati che decidono di adottare sistemi tecnologici onde contenere il contagio: tra le diverse misure, emergono il divieto di geolocalizzazione, la garanzia di anonimato, la volontarietà dell’utilizzo dell’app, che il cittadino deve essere libero di scaricare o meno.
Inevitabilmente tale ultimo aspetto inciderà sul successo o meno del Sistema, che potrà fungere da efficace strumento per controllare il diffondersi del Coronavirus solo ove sarà scaricato e utilizzato da una larga parte della popolazione.
Pertanto, sebbene siamo tutti consapevoli e pronti ad accettare che, per via della situazione che ci troviamo a vivere, i nostri diritti subiscano alcune “limitazioni” al fine di tutelare un bene superiore, quale è la salute pubblica, ci auspichiamo che l’adozione delle predette misure da parte del Ministero della salute - nonché l’attenzione di ciascuno di noi nel valutare quanto si scarica sul dispositivo (così da evitare di cadere in trappole di cybercriminali che cercano di sfruttare tale meccanismo per lanciare campagne di phishing, quale quella in cui sono incappate numerose persone qualche giorno fa) - non renda necessario accettare la compressione del nostro diritto di tutela dei dati personali. 
 
Dott.ssa Mariachiara Ceriani
 
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Incontro informativo online "Liti in condominio, possibili soluzioni e utilità/opportunità polizze tutela legale, utilizzo delle piattaforme informatiche per assemblee condominiali in particolare in tempi di emergenza"  
 
05 maggio 2020 ore 17.00 - 18.00    
 
Il nostro Studio è stato invitato a partecipare a un webinar organizzato da UPEL - Unione Provinciale Enti Locali.  
 
Parteciperà come relatore l'avvocato Dora Ballabio e parlerà della litigiosità in ambito condominiale; dei possibili aumenti dei conflitti in seguito alla crisi economica ed alle tensioni sociali causate dal coronavirus; della conseguente opportunità/utilità per il Condominio di dotarsi di una polizza di tutela legale.
Il webinar avrà un taglio pratico e verrà approfondita la possibilità di utilizzare le piattaforme informatiche per la tenuta delle assemblee condominiali in periodi di emergenza.  
 
La partecipazione è gratuita per tutti previa registrazione al portale UPEL e iscrizione al webinar.
 

8 giugno 2020 
 
La tutela degli acquirenti di immobili da costruire, in un primo tempo prevista dal decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, è stata poi rivista ed ampliata dal decreto legislativo 12 gennaio  2019, n. 14.
Le nuove norme sono in vigore dal 16 marzo 2019, e si applicano ai contratti aventi ad oggetto immobili da costruire per i quali il titolo abilitativo edilizio sia stato richiesto o presentato successivamente a tale data (art. 5, comma 1-ter, d.lgs. 122/2005).
La fondamentale novità introdotta dalle nuove norme riguarda l'obbligo di stipulare il contratto preliminare avente per oggetto immobili da costruire con atto pubblico o  scrittura  privata autenticata.
In questo modo il legislatore ha inteso affidare ad un pubblico ufficiale, quale appunto il notaio, il controllo del rispetto delle norme di tutela dell'acquirente, che negli anni precedenti erano state spesso inosservate.
Dal punto di vista soggettivo la tutela si applica quando:
- il venditore   sia  un "costruttore";
- l'acquirente"  sia  una  persona  fisica;  
- l’oggetto  della  vendita   sono gli  "immobili  da  costruire",   ovvero, un immobile per il quali sia stato richiesto il permesso di costruire (o presentato altro  titolo abilitativo edilizio) e che siano ancora da  edificare, o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata essendo in uno stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità; la disciplina di tutela non si applicherebbe, dunque,  quando non risulti essere stato ancora richiesto il titolo abilitativo, e quindi non si applica alla vendita di immobili cosiddetta “sulla carta”; 
- sia stipulato un contratto che possa comportare l'acquisto o comunque il trasferimento non immediato della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, compreso quindi anche il contratto di leasing.
La legge dispone espressamente che l'acquirente non può rinunciare alle tutele previste dalla normativa, e che pertanto ogni clausola contraria è nulla.
Come accennato la grande novità introdotta dalla normativa in esame riguarda l’obbligo di stipulare il contratto preliminare avente per oggetto un immobile da costruire per atto pubblico o scrittura privata autenticata, e la legge prevede analiticamente le indicazioni che deve contenere, e i documenti che devono essere allegati.
La trascrizione del contratto preliminare
Il contratto preliminare, stipulato, appunto, per atto pubblico o scrittura privata autenticata, deve essere poi trascritto nei registri immobiliari, in modo da valere come una vera e propria “prenotazione” dell'acquisto dell'immobile, poiché la trascrizione lo rende opponibile nei confronti dei terzi.
Grazie alla trascrizione, il promittente acquirente gode, conseguentemente, di una tutela aggiuntiva rispetto alla fideiussione.
A seguito della trascrizione del contratto preliminare, il costruttore non può vendere l'immobile ad altro soggetto, né concedere un'ipoteca sull'immobile, né costituire una servitù passiva o qualsiasi altro diritto pregiudizievole. Gli eventuali creditori del costruttore non possono iscrivere un'ipoteca sull'immobile promesso in vendita, né pignorarlo.
Al momento della stipula del contratto preliminare di compravendita di un immobile da costruire (o, come abbiamo visto, di ogni altro contratto che sia idoneo a comportare il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire), ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato a procurare il rilascio e a consegnare all'acquirente una fideiussione, di importo corrispondente alle somme (e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo) che il costruttore abbia riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, debba ancora riscuotere dall'acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento.
Il notaio deve verificare la consegna della fideiussione e la sua conformità al modello standard.
La mancanza della fideiussione è espressamente sanzionata con la nullità del contratto, che può essere fatta valere unicamente dall'acquirente (trattasi dunque di nullità relativa).
Soggetti abilitati a rilasciare la fideiussione
La fideiussione  è rilasciata da una banca o da  un'impresa esercente le assicurazioni (art. 3, comma 1, del d.lgs. 122/2005).
E' stata eliminata la possibilità, prevista dalla precedente normativa, che la fideiussione fosse rilasciata da un intermediario finanziario
Cosa deve garantire la fideiussione
La fideiussione deve garantire la restituzione all'acquirente delle somme dallo stesso  effettivamente versate al costruttore:
- nel caso in cui il costruttore incorra in una situazione di crisi prevista dall'art. 3, comma 2, del d.lgs. 122/2005;
- nel caso di inadempimento, da parte  del costruttore, dell'obbligo di  contrarre  e consegnare all'acquirente, all'atto  del  trasferimento  della  proprietà  dell'immobile,  la polizza assicurativa  indennitaria decennale  di cui all'art. 4 del d.lgs.  122/2005.
Quest'ultima previsione è una novità aggiunta dal d.lgs. 14/2019
In mancanza della fideiussione, il contratto preliminare non può essere stipulato.
Qualora il contratto venisse comunque stipulato in mancanza della fideiussione, la legge ne prevede la nullità, che può essere fatta valere unicamente dall'acquirente (nullità relativa).
L'acquirente può dunque scegliere se agire in giudizio per far valere la nullità contratto preliminare, oppure mantenere valido il contratto stipulato, pur in assenza della garanzia fideiussoria, se ritiene di averne maggiore interesse.
La polizza assicurativa indennitaria decennale
Il costruttore è obbligato a contrarre e a consegnare all'acquirente, all'atto del trasferimento della proprietà dell'immobile, una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio dell'acquirente (art. 4, comma 1, d.lgs. 122/2005).
Il d.lgs. 14/2019 ha introdotto, in caso di violazione di tale obbligo, la sanzione della nullità del contratto, che può essere fatta valere solo dall'acquirente (nullità relativa).
L'atto di trasferimento della proprietà dell'immobile deve contenere la menzione degli estremi identificativi della polizza assicurativa, e della sua conformità al modello standard (art. 4, comma 1-quater, d.lgs. 122/2005).
I danni coperti dalla polizza assicurativa
La polizza assicurativa indennitaria decennale deve avere effetto dalla data di ultimazione dei lavori, e deve coprire i danni materiali e diretti all'immobile, compresi i danni ai terzi, che il costruttore sia tenuto a risarcire ai sensi dell'articolo 1669 del codice civile, derivanti da rovina totale o parziale  oppure  da  gravi  difetti  costruttivi  delle  opere, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, e comunque manifestatisi successivamente alla stipula del contratto definitivo di compravendita o di assegnazione.
La legge parla genericamente di copertura dei danni, da intendere come copertura totale e non parziale, quindi non pare essere consentita la presenza di clausole che prevedano scoperti o franchigie, che avrebbero l'effetto di ridurre il concreto risarcimento del danno all'acquirente.
In caso di inadempimento da parte del costruttore dell'obbligo di contrarre e consegnare all'acquirente, all'atto del trasferimento della proprietà dell'immobile, la polizza assicurativa indennitaria decennale, l'acquirente che abbia comunicato al costruttore la propria volontà di recedere dal contratto preliminare ha diritto di escutere la fideiussione per ottenere la restituzione delle somme versate al costruttore (art. 4, comma 1-ter, d.lgs. 122/2005).
In tal caso la fideiussione può essere escussa a decorrere dalla data dell'attestazione del notaio di non aver ricevuto, per la data dell'atto di trasferimento della proprietà, la polizza assicurativa conforme al modello standard (art. 3, comma 3, lettera b, d.lgs. 122/2005).
Il d.lgs. 14/2019 ha inoltre previsto la nullità del contratto di trasferimento della proprietà dell'immobile eventualmente stipulato, in caso di violazione dell'obbligo del costruttore di contrarre e consegnare all'acquirente la polizza assicurativa indennitaria decennale.
Per espressa disposizione di legge, la nullità può essere fatta valere solo dall'acquirente, il quale può dunque scegliere se agire in giudizio per far valere la nullità della compravendita, oppure mantenere valido il contratto stipulato, pur in assenza della garanzia assicurativa, se ritiene di averne maggiore interesse.
Si tratta pertanto, anche in questo caso, di nullità relativa.
 
 
Avv. Corrado Demolli
 

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30 aprile 2020

Nel breve termine saranno evidenti i danni prodotti dall’arresto improvviso della nostra economia e gli imprenditori e le famiglie ne subiranno gli effetti più nefasti, con la conseguenza che l’insolvenza nei pagamenti sarà più che mai ordinaria.
Quali potranno essere i rimedi?
Ad oggi non esiste alcun paracadute e la lenta ripresa economica che si prospetta nel futuro prossimo non allontanerà di certo le criticità.
Il nostro ordinamento, con la L. 3/2012, ha istituito una procedura, la c.d. procedura di composizione della crisi, che potrà rivelarsi uno strumento prezioso nel porre rimedio al sovraindebitamento dei debitori in grave difficoltà economica; debitori che non rientrano nella definizione di soggetti “fallibili” destinatari della legge fallimentare (r.d. 267/1942).
Trattasi, tuttavia, di procedura che non ha mai avuto un effettivo riscontro pratico e che, ad oggi, non ha prodotto i risultati sperati.
È però indubbio che fattori quali la riduzione dello stipendio mensile, la perdita del lavoro e il ridimensionamento del reddito disponibile in capo alle famiglie, causeranno una crisi economica da sovraindebitamento senza eguali, che richiederà il ricorso consistente a tale strumento.
In che cosa consiste la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento?
In sintesi, partendo dai soggetti, possono accedere alla procedura in esame tutti i  consumatori estranei all’attività imprenditoriale o professionale, gli imprenditori commerciali sotto soglia ovvero che abbiano cessato l’attività da più di un anno, gli enti privati non commerciali, gli imprenditori agricoli e le start-up innovative, purché non vi abbiano fatto ricorso nei tre anni precedenti.
Con il termine “sovraindebitamento” si intende il perdurante squilibrio tra il debito contratto e il reddito disponibile in capo al debitore (cfr. art. 6 della L. 3/2012); circostanza che comporta l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni attraverso gli ordinari mezzi.
Quanto al procedimento vero e proprio, con la composizione della crisi da sovraindebitamento il legislatore ha voluto offrire ai debitori in buona fede uno strumento alternativo per soddisfare i propri debiti, attraverso un accordo di ristrutturazione degli stessi o, in alternativa, un piano del consumatore che assicuri il regolare pagamento dei creditori (cfr. art. 7 della L. 3/2012).
Affinché si applichi tale procedura, al debitore inadempiente devono essere già stati notificati il ricorso per decreto ingiuntivo e l’atto di precetto, che dovrà contenere, quest’ultimo, l’avvertimento che il debitore può porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento per il tramite dell’Organismo di composizione della crisi.
L’accesso alla procedura garantirà vantaggi sia alla parte creditrice sia alla parte debitrice, laddove la  prima riscuoterà il credito vantato in un lasso di tempo ragionevole, ridotto rispetto ai consueti tempi dell’azione esecutiva, mentre il secondo otterrà lo stralcio di una parte dei debiti, che non saranno più esigibili dal creditore.
Il debitore che desideri avvalersi di tale procedura deve rivolgersi ad uno degli Organismi di composizione della crisi (c.d. Occ) indicati nell’elenco ufficiale fornito dal Ministero della Giustizia, ovvero richiedere al Tribunale competente in materia di nominare un professionista che possa aiutarlo per far fronte alla situazione debitoria, stipulando un accordo con il creditore ovvero predisponendo un piano del consumatore.
Infine, la proposta di accordo “deve necessariamente prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei redditi futuri. Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentano il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo” (art. 8 della L. 3/2012).
Precisato quanto sopra, occorre evidenziare come l’impianto descritto attraverserà presto un momento di profonda ristrutturazione, atteso che a far data dal 15 agosto 2020 entrerà in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa, che apporterà significative novità anche in materia delle procedure previste per il sovraindebitamento.
Si teme, al riguardo, che le innovazioni possano risultare quantomeno inopportune nel contesto attuale di crisi socio-economica che stiamo vivendo, benché il d.lgs. 14/2019, c.d. Codice della crisi d’impresa, realizzi la riforma da molti auspicata della disciplina delle procedure concorsuali; disciplina che risulta ancora affidata al r.d. 267/1942 (legge fallimentare) risalente al periodo fascista.
Ed è indubbio che il fallimento, o comunque lo scarso successo delle procedure di sovraindebitamento, sia legato a fattori, tra i quali risaltano la mancanza di conoscenza degli istituti previsti e la faticosa istituzione degli organismi cui è demandato il compito di gestire le procedure; tutti elementi che oggi hanno finalmente trovato la loro dimensione e che la riforma rischia di stravolgere, andando ad appesantire e rallentare il lavoro dell’organismo di composizione.
Auspicando che lo strumento sopra descritto possa costituire una risorsa, senza procrastinare ulteriormente i risultati sperati, lo Studio rimane a disposizione per ulteriori chiarimenti.
 
 
 
Dott.ssa Maria Tremolada
 
 
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Incontro informativo online "Condominio e proprietà: una, nessuna e centomila"  
 
12 maggio 2020 ore 17.00 - 18.00    
 
Il nostro Studio è stato invitato a partecipare a un webinar organizzato da UPEL - Unione Provinciale Enti Locali.  
 
Parteciperà come relatore l'avvocato Giorgia Colombo e parlerà del diritto di proprietà: esclusivo sul singolo appartamento (con riferimento anche alle esigenze di comfort emerse in questo periodo in un’ottica di ripensamento delle caratteristiche delle abitazioni in vista di nuovi lavori che potranno essere deliberati dai condomini); esclusivo su eventuali negozi / attività affittate (con riguardo ai problemi legati alle locazioni in tempi di coronavirus); limitato dai diritti degli altri proprietari; comune con riguardo agli spazi comuni e al loro utilizzo.
 
La partecipazione è gratuita per tutti previa registrazione al portale UPEL e iscrizione al webinar.
 

Incontro informativo online "Lavori in Condominio. Il Condominio come volano per l'economia" 
 
30 aprile 2020 ore 17.00 - 18.00   
 
Il nostro Studio è stato invitato a partecipare a un seminario organizzato da UPEL - Unione Provinciale Enti Locali.
 
Parteciperà come relatore l'avvocato Corrado Demolli e parlerà dei lavori in Condominio.
 
L'attenzione sarà rivolta allo stato del patrimonio immobiliare in Italia, alla necessità di interventi di restiling, alle modalità di esecuzione di tali lavori in un momento di difficoltà economica quale quello che stiamo vivendo, alle  ricadute positive sull’economia e sull’ambiente in seguito all’esecuzione di tali lavori.
 
La partecipazione è gratuita per tutti previa registrazione al portale UPEL e iscrizione al webinar.

3 giugno 2020

La tanto attesa Fase 2 ha avuto ormai inizio: le aziende hanno riaperto, i tavolini di bar e ristoranti sono di nuovo occupati dai clienti, le opere dei musei possono nuovamente essere ammirate dal vivo.
Nonostante la ripresa delle varie attività sembri, pertanto, determinare il definitivo ritorno alla vita quotidiana, alcune circostanze concrete ci ricordano che l’emergenza sanitaria ancora non è superata: a chi non è capitato di essere fermato prima di entrare in un supermercato per il rilevamento della temperatura o di essere chiamato a fornire le proprie informazioni sanitarie?
Poiché tali misure coinvolgono direttamente o indirettamente i dati personali, in particolare quelli sensibilissimi inerenti lo stato di salute, il Garante della Privacy è intervenuto predisponendo alcune chiare e semplici indicazioni volte a garantire un corretto trattamento dei dati personali in gioco, che di seguito brevemente si riassumono:
- Chi può diffondere i dati identificativi delle persone positive al COVID-19 o che sono state poste in isolamento domiciliare?
Nessuno. Difatti, i dati inerenti la salute sono dati sensibilissimi e, in quanto tali, non possono essere oggetto di diffusione, neppure in tale periodo di emergenza.
Pertanto, le aziende sanitarie, le prefetture, i comuni e qualsiasi altro soggetto pubblico o privato non possono diffondere, attraverso siti web o altri canali, i nominativi dei casi accertati di Covid-19 o dei soggetti sottoposti alla misura dell’isolamento per finalità di contenimento della diffusione dell’epidemia.
- Tali dati possono essere comunicati ai concittadini o ai colleghi di lavoro del soggetto positivo?
Nè il Comune nè il datore di lavoro possono rendere note le suddette informazioni.
È compito delle autorità sanitarie competenti informare i “contatti stretti” del contagiato, al fine di attivare le previste misure di profilassi.
In particolare, il datore di lavoro è tenuto a fornire alle istituzioni competenti e alle autorità sanitarie le informazioni necessarie, affinché le stesse possano assolvere ai compiti e alle funzioni previste anche dalla normativa d’emergenza.
Parimenti, è onere del datore di lavoro adottare, in caso di presenza di persona affetta da Covid-19, all’interno dei locali dell’azienda o dell’amministrazione, ogni misura volta a garantire la pulizia e la sanificazione dei locali stessi, da effettuarsi secondo le indicazioni impartite dal Ministero della salute.
- Chi può chiedere informazioni circa gli eventuali contatti avuti con persone positive al COVID-19?
Innanzitutto, tale informazione, così come la rivelazione dell’identità del soggetto positivo con cui si ha avuto contatto, può essere legittimamente richiesta dall’operatore sanitario, durante l’esecuzione di un tampone per COVID-19: difatti, tali dati risultano fondamentali al fine di permettere all’operatore di ricostruire la filiera dei “contatti stretti” del soggetto risultato positivo e, conseguentemente, di determinare le misure di contenimento di contagio più opportune.
Anche il datore di lavoro può, però, richiedere tale informazione: in particolare, in virtù del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 - e aggiornato il 24 aprile - fra il Governo e le parti sociali, è possibile richiedere una dichiarazione che attesti tali circostanze altresì a soggetti terzi, quali visitatori e utenti.
In tal caso, però, in virtù dei principi di necessità, adeguatezza e pertinenza che devono connotare il trattamento dei dati personali, il datore non è legittimato a raccogliere informazioni circa l’identità del soggetto positivo.
Si segnala, in aggiunta, come l’Allegato 1 dell’Ordinanza n. 555/2020 di Regione Lombardia imponga agli organizzatori di servizi per l’infanzia e per l’adolescenza l’obbligo di raccogliere le attestazioni inerenti le condizioni di salute tanto del personale, quanto dei minori frequentanti il centro, sulla base di appositi modelli forniti dalla Regione stessa.
- Il datore di lavoro può richiedere l’effettuazione di test sierologici ai propri dipendenti?
Sì, purché non li effettui direttamente e solo se disposti dal medico competente e, in ogni caso, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche in merito all’affidabilità e all’appropriatezza di tali test.
Preme, inoltre, sottolineare come le informazioni relative alla diagnosi o all’anamnesi familiare del lavoratore non possano essere trattate dal datore di lavoro (ad esempio, mediante la consultazione dei referti o degli esiti degli esami), salvi i casi espressamente previsti dalla legge.
Il datore di lavoro può, invece, trattare i dati relativi al giudizio di idoneità del dipendente alla mansione specifica cui era addetto e alle eventuali prescrizioni o limitazioni che il medico competente ritiene opportuno prescrivere.
- È possibile conservare i dati delle persone che prenotano l’accesso a determinati servizi?
Sì. Anzi, la citata Ordinanza di Regione Lombardia impone che per la riapertura di determinate attività (in particolare, per i servizi alla persona, quali parrucchieri, estetisti, tatuatori, ...) sia obbligatorio regolare l’accesso attraverso sistemi di prenotazioni, il cui elenco deve essere mantenuto, nel totale rispetto del Regolamento Europeo sulla Protezione dei dati personali, per un periodo di 14 giorni.
 
Dott.ssa Mariachiara Ceriani

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Incontro informativo online “La disciplina della tutela degli acquirenti di immobili da costruire. Incontro con professionisti del settore” –
28 aprile 2020 ore 14.30 
 
Il Codice della crisi di impresa (d.lgs. 14/2019) ha introdotto una nuova disciplina della tutela degli acquirenti degli immobili da costruire, con importanti ricadute sugli operatori del settore immobiliare.
Tra queste, l’obbligo delle parti di stipulare i contratti preliminari per atto pubblico o scrittura privata, il conseguente obbligo di trascrizione, la necessaria conformità delle garanzie da prestare al privato a modelli ministeriali, la previsione di sanzioni di invalidità per gli atti negoziali privi delle prescrizioni di legge.
 
Per approfondire il tema, Ance Varese organizza un webinar di approfondimento con due professionisti del settore il giorno
Martedì 28 aprile 2020 alle ore 14.30.
 
I relatori saranno il Notaio Chiara Angela Bardelli, con Studio a Busto Arsizio, specializzata nel settore delle compravendite immobiliari, e l’Avv. Corrado Demolli, di DDC Studio Legale & Tributario, con sede a Milano e Gallarate, specializzato nell’assistenza giudiziale e nella consulenza stragiudiziale in tema di diritto immobiliare e degli appalti.
 
Gli interessati sono invitati a confermare la partecipazione a This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. in modo da ricevere le indicazioni operative per accedere.
 

3 giugno 2020 

Il 19 maggio 2020 è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il tanto atteso Decreto Rilancio (Decreto-Legge n. 34/2020).
Quali sono le misure adottate per il settore del turismo, che, insieme alla cultura, è stato tra quelli “più gravemente colpiti sin dagli inizi dell’emergenza coronavirus a causa della significativa contrazione degli arrivi internazionali a cui si sono poi aggiunte le chiusure dovute alle misure di contenimento del contagio” come evidenziato dal ministro Dario Franceschini?
Gli articoli 176 - 182 del Decreto Rilancio contengono il c.d. “Pacchetto Turismo” e ulteriori misure si rinvengono in altre sezioni del decreto.
Di grande interesse si segnalano fin da subito le misure a “Sostegno delle imprese di pubblico esercizio” previste dall’art. 181 del Decreto Rilancio con lo scopo di favorire la ripresa delle attività economiche sospese con il D.P.C.M. del 10 aprile 2020, nonché di garantire il rispetto delle misure di distanziamento connesse all’emergenza da Covid-19, privilegiando i consumi all’esterno.
Trattasi di novità assoluta laddove il Governo ha fornito una risposta immediata e concreta alle esigenze degli operatori del settore, colpiti duramente dal lock-down e chiamati a ripartire nel rispetto di distanziamenti difficili da attuare nella maggior parte dei casi.
La disposizione si rivolge a bar, ristoranti, pizzerie, birrerie, stabilimenti balneari e gelaterie, oltre a tutti gli altri esercizi contemplati dall’art. 5 della legge n. 287/1991, e viene loro in soccorso esonerandoli dal pagamento della tassa di occupazione di spazi e aree pubbliche (Tosap) e del canone di cui all’art. 63 d.lgs. 446/1997 (Cosap) a far data dal 1 maggio e fino al 31 ottobre 2020.
Il ristoro per i Comuni del minor gettito sarà a carico di un Fondo nello stato di previsione del Ministero dell’Interno, con una dotazione di 127, 5 milioni di euro per l’anno 2020.
Ma vi è di più.
È altresì sospeso sino al 31 ottobre 2020 il regime di autorizzazioni da parte delle soprintendenze con riguardo alla posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, ed è disapplicato il termine di 90 giorni entro il quale le opere, non soggette a titolo abilitativo, dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità, dovrebbero essere rimosse.
Unica condizione richiesta è che le suddette opere temporanee siano funzionali all'attività svolta dagli esercizi contemplati dalla norma in commento.
E con particolare riguardo alle modalità?
Assistiamo ad una vera e propria semplificazione.
Sarà difatti sufficiente presentare in via telematica all’ufficio competente dell’Ente Locale una domanda di nuova concessione per l'occupazione di suolo pubblico ovvero di ampliamento delle superfici già concesse, con allegata la sola planimetria, e senza applicazione dell’imposta di bollo di cui al DPR N. 642/1972 (sia per la domanda sia per il provvedimento finale concessorio).
Trattasi di procedura speciale in deroga alle disposizioni statali e regolamentari già adottate dal Comune, attuabile sulla base del combinato disposto della disposizione in esame e dell’art. 264 del Decreto Rilancio che regola nello specifico la materia edilizia.
Rimangono ferme le disposizioni del Codice della strada a garanzia del rispetto delle aree di pubblico passaggio e di transito dei mezzi di soccorso e dei diritti dei terzi.
Quanto all’individuazione delle superfici massime concedibili per le nuove occupazioni ovvero per gli ampliamenti rientranti nel temporaneo ed eccezionale regime autorizzatorio, non è prevista alcuna previsione normativa, con la conseguenza che ogni Comune potrà autodeterminarsi sul punto.
Inoltre, dato il tenore letterale della norma, in caso di già avvenuto pagamento per fattispecie che godono del beneficio, si dovrà procedere al rimborso per il periodo dell’esonero.
Com’è stata accolta la misura in esame dagli operatori del settore?
Le prime risposte sono assolutamente positive, con molte domande non solo già presentate bensì già approvate.
E città come Varese, a titolo esemplificativo, vanno anche oltre il Decreto Rilancio estendendo a ciascuna tipologia di commerciante, non solo quindi a bar e ristoranti, ma altresì negozi di vicinato e para commerciali, la possibilità di occupare suolo pubblico con il proprio dehors senza alcun costo.
Non solo: tra le opzioni oggetto di studio da parte dell’Amministrazione comunale rientra altresì quella dell’occupazione di aree verdi.
In un momento in cui tutti noi abbiamo bisogno di bellezza, una misura di grande incidenza, che aiuterà tutti noi a riappropriarci delle nostre città, alla scoperta di angoli nascosti e con la suggestione di poter cenare in musei a cielo aperto, in molti luoghi che hanno fatto la storia del nostro Paese.
 

Avv. Giorgia Colombo 
 
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16 aprile 2020

21 febbraio 2020.
Una data che ricorderemo.
Una data che è entrata in modo violento nella nostra storia.
Si tratta del giorno in cui veniva accertato il primo “malato italiano” Covid 19 da Coronavirus.
Da lì a pochi giorni il contagio avrebbe avuto lo sviluppo repentino e drammatico che tutti abbiamo conosciuto.
Parallelamente nei medesimi giorni si propagava nell’opinione pubblica un sentimento di stima e gratitudine nei confronti degli operatori sanitari che si trovavano in prima linea a combattere un nemico invisibile e sconosciuto, a volte senza le più basilari protezioni, neppure per la propria persona.
Gli italiani mostravano tale loro supporto con i mezzi più vari e fantasiosi: dagli ormai irrinunciabili “post” sui “social”, agli improvvisati striscioni affissi agli ingressi degli ospedali financo agli applausi ed alle canzoni dai balconi delle proprie abitazioni con dedica speciale a chi si stava prodigando in ospedale per prendersi cura dei malati e salvare quante più vite possibile.
Negli ultimi giorni però la situazione pare essere mutata radicalmente.
Risulta infatti come in questo momento di continua estrema emergenza sia in costante crescita il numero di medici e infermieri denunciati per “malpractice”/negligenza nella cura di pazienti Covid 19.
Parrebbe anche che un crescente numero di avvocati abbia suggerito ai loro assistiti azioni risarcitorie nei confronti del personale ospedaliero.
Non intendo, però, approfondire tale esecrabile comportamento in relazione al quale il Consiglio Nazionale Forense ha immediatamente preso le distanze.
Atteggiamento condiviso immediatamente anche da numerosi Consigli dell’Ordine che hanno invitato i colleghi a ripassare il codice deontologico e a rivedere la gestione del proprio contenzioso.
Non solo ma il Consiglio Nazionale Forense ha dato il via libera già dallo scorso 2 aprile, alle sanzioni disciplinari per gli avvocati che offrono/pubblicizzano assistenza per azioni legali contro i medici che sono impegnati nella cura dei pazienti affetti da coronavirus, o covid-19. Senza dubbio è diritto di ogni cittadino agire contro le eventuali mancanze del sistema sanitario.
Il diritto al risarcimento per un danno subito è un principio fondamentale del nostro ordinamento; tuttavia l’incremento delle denunce verso i medici registrato in questi giorni appare quanto meno inopportuno e irrispettoso nei confronti di chi, con moltissime difficoltà, porta avanti in prima persona la battaglia contro il virus.
Parlo di medici, infermieri, operatori sociosanitari e socioassistenziali, ma anche di personale tecnico e amministrativo e dirigenziale di ospedali, case di cura e residenze per anziani.
Oltre, naturalmente, ai medici di famiglia, quelli che più di altri stanno patendo oggi la difficoltà di dover assistere i propri pazienti spesso privi dei necessari presidi sanitari.
Sono già oltre 100 alla data di oggi, i medici morti di coronavirus, e circa diecimila gli operatori sanitari contagiati dall’epidemia.
Ciononostante, come sopra accennato il sentimento sociale (o almeno di un parte della nostra società) è mutato e gli eroi di ieri sono già divenuti (per alcuni) nemici da denunciare oggi.
D’altronde, accantonando per un momento le possibili azioni giudiziarie in sede civile, delle quali si farà cenno in seguito, denunciare un medico o un operatore sanitario oggi in Italia, come ricordava il dott. Carlo Nordio ex procuratore aggiunto di Venezia in  una recente intervista ”…non costa nulla, non serve nemmeno l’avvocato….è sufficiente un esposto generico…” e per l’effetto dell’obbligatorietà dell’azione penale così come prevista dalla vigente legislazione “… tutta la macchina giudiziaria si mette in moto…” Si dirà come una denuncia non comporti necessariamente un processo e men che meno una condanna soprattutto se consideriamo come il 90% di queste procedure si concluda con una archiviazione o con una assoluzione; ma il procedimento espone, già di per sé, il medico a gravose spese legali oltre all’ansia ed alla tensione di sentirsi sempre soggetto alla spada di Damocle di un’inchiesta nonché alla gogna mediatica che spesso accompagna la pubblicazione di notizie riguardanti indagini in corso.
Viceversa, medici ed infermieri avrebbero necessità di lavorare in serenità e tranquillità in quanto gli stessi svolgono da un lato un lavoro ad elevato rischio, soprattutto quando svolto sotto pressione e magari oltre i previsti orari lavorativi, e dall’altro lato in quanto incide su beni e valori primari quali la salute e la vita.
Quali le conseguenze??
Si ipotizza che i medici al fine di evitare ogni possibile rischio siano portati a praticare una medicina difensiva e quindi a rinunciare ad effettuare un intervento potenzialmente rischioso (ma in grado di portare qualche beneficio al paziente) sottoponendo, piuttosto, quest’ultimo ad una mole enorme di esami clinici, che magari in altra situazione avrebbe evitato di prescrivere,  a volte inutili ed invasivi con conseguente aggravio di costi per il servizio sanitario e inevitabile allungamento delle liste di attesa per l’esecuzione degli esami clinico diagnostici.
Quali le soluzioni?
Nel campo delle azioni giudiziarie civili la legge Gelli Bianco, di recente introduzione nel nostro ordinamento, ha già apportato chiarimenti e modifiche a “storture” della legislazione previgente che era ormai inadeguata ad affrontare il già crescente incremento di cause conseguenti a casi di cosiddetta “malasanità”. 
A parere dello scrivente, però, il legislatore dovrebbe intervenire anche in ambito penale, ed anzi, già in questi giorni, è all’esame del Senato la proposta di inserire una sorta di “scudo penale” per i medici fino alla fine dello stato emergenziale.
La questione non è di poco conto se consideriamo come diversi illustri giuristi si siano interessati della problematica ed abbiano offerto possibili soluzioni.
Alcuni hanno proposto la depenalizzazione dell’ipotesi colposa nella responsabilità del personale sanitario come norma generale e non relativa solo all’eccezionalità di questo periodo, così come avviene in altri importanti paesi quali Stati Uniti e Francia.
Altri l’introduzione di una causa di non punibilità che liberi i medici e tutto il personale sanitario anche della pena di esser sottoposti a processo. Ma a parere dello scrivente la proposta più praticabile è stata svolta dal Dott. Nordio che nell’intervista sopra citata ha precisato come “… per le denunce penali occorrerebbe introdurre il principio della querela temeraria…” analogamente a quanto già previsto in sede civile per le “liti temerarie” ossia procedure infondate proposte a soli fini dilatori "...Chi querela un sanitario dovrebbe in quest’ottica risarcirlo se l’accusa dovesse risultare infondata…”. “…Non solo ma la querela dovrebbe essere accompagnata obbligatoriamente da una consulenza medico legale qualificata che specifichi quali colpe si attribuiscono al sanitario …. mentre oggi è sufficiente un esposto anche molto generico per mettere in moto la macchina della giustizia…”.
In conclusione, una situazione paradossale quella appena descritta, dato che i medici, insieme a infermieri e oss, stanno portando avanti ormai da settimane una vera e propria battaglia contro l’epidemia, nonostante la scarsità di mascherine e di altri presidi di protezione, anche basici, mettendo così a rischio la loro salute e quella dei loro cari.
D’altronde, non dobbiamo mai dimenticarlo, il personale sanitario è chiamato a rispondere oggi anche delle mancanze di un sistema vittima per anni di una politica fatta solo di “tagli” e di una mancata e/o cattiva programmazione (vd. numero chiuso all’università o alle scuole di specialità) con conseguente mancanza non solo di risorse finanziarie ma anche umane.
Non possiamo, conseguentemente,  smettere di ringraziare i medici, gli infermieri, gli oss fino agli addetti alle pulizie delle strutture sanitarie che, soprattutto all’inizio dell’epidemia, privi anche delle misure minime di protezione così come sopra già esposto, hanno lavorato e lavorano ben oltre quanto loro richiesto e quanto di loro responsabilità rischiando la vita per un sistema che, loro malgrado, non solo non ha fatto nulla per favorire, ma ha reso difficile consentire di eseguire bene il loro lavoro.
 
 
Avv. Corrado Demolli
 
 
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